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			Si 
			racconta che Federico II di Prussia cominciò un giorno ad avere 
			come ferma convinzione quella che i passeracei 
			fossero gravemente dannosi per il raccolto dei campi e per 
			l’agricoltura in generale. Di conseguenza, ne ordinò con 
			solerzia il veloce e totale sterminio, arrivando a istituire 
			una vera e propria taglia per ogni passero che fosse stato ucciso. 
			La sua premura era motivata in particolare dal suo grande amore per 
			le ciliegie. 
			Correva infatti la voce che i passeri mangiassero in 
			grandissima quantità questo frutto... Temendo per le rosse delizie 
			del suo giardino di Postdam e vinto dal pregiudizio, il Re di 
			Prussia affrettò le operazioni di distruzione, e in tre anni lo 
			sterminio fu compiuto. Non vi era più un passero in tutta la 
			Prussia. 
			Un curioso fenomeno iniziò però a manifestarsi: folti 
			gruppi di insetti, in una quantità molto più rilevante di quanto si 
			fosse potuto notare in passato, erano energicamente dediti alla 
			libera e incontrollabile distruzione di migliaia di prodotti agrari 
			e alimentari, ciliegie comprese... La fine della storia 
			arrise ai volatili, ma cento anni dopo, in tutta Europa, il problema 
			si riproporrà su larga scala, suscitando un dibattito intorno ai 
			rapporti tra gli uccelli e l’agricoltura. Un dibattito di stampo 
			antropocentrico, ma che porrà le basi, una volta concluso, per un 
			nuovo approccio ecologico alle cose della natura. 
			Su questo 
			argomento è presente, a fine libro, un’intervista allo zoologo Bruno Cignini. 
			  
			
			Matteo Liberti, scrittore e giornalista, è nato a Roma nel 1977. 
			Laureato in Storia contemporanea, è il fondatore e direttore del 
			periodico "InStoria - rivista di storia e informazione" nonché di 
			"InStoria. - quaderni di percorsi storici. Collabora inoltre con 
			altre riviste del settore. |